AA.VV. “Lo spazio mediterraneo dal mondo antico all’età contemporanea”, New digital frontiers – Infieri, 2016.

Giampaolo Conte, Fabrizio Filioli Uranio, Valerio Torreggiani, Francesca Zaccaro (a cura di), Imperia. Lo spazio mediterraneo dal mondo antico all’età contemporanea, Palermo, New digital frontiers – Infieri, 2016, pp. 341.

   Gli atti del convegno tenutosi a Roma presso l’Università di Roma Tre nel novembre 2014, in occasione del bimillenario della morte di Ottaviano Augusto, pongono il nesso tra Mediterraneo e progettualità imperiale al centro di una ricca miscellanea di contributi, organizzati in trImperia.copertina 001e sessioni –La scoperta del Mediterraneo: Imperi antichi in una prospettiva di lunga durata; La centralità del Mediterraneo: reti, commerci e spazi politici fluidi; Le identità del Mediterraneo: vecchi imperi e nuove appartenenze–, le quali sottolineano, a partire dai titoli, il protagonismo di una metodologia storiografica incentrata sullo studio della ‘lunga durata’, sui corsi e ricorsi dell’espansionismo culturale, economico e militare, su un dialogo multilaterale, intellettuale, commerciale ed armato, rispetto al quale il mare rappresenta talora un mezzo, talora un ostacolo, talora un fine.
Un approccio che consente, proprio nell’era della cosiddetta ‘globalizzazione’ di ragionare, a proposito della storia mediterranea, di ‘globalizzazioni’, ovvero di processi di aggregazione in un unico spazio economico, culturale e, talora, politico, di realtà differenti e complementari: dall’impero assiro –Federico Defendenti, Jean-Jacques Herr, Come identificare un Impero? Il caso dell’Impero assiro (IX-VII s. a.C.)– passando per quello romano, per l’espansionismo marinaro, finanziario e commerciale italiano d’età medievale (Stefano G. Magni, La rete delle grandi compagnie fiorentine nel XIII e XIV secolo e lo spazio mediterraneo: alcuni problemi di ricerca; Cristina Setti, Un impero mancato? Venezia e l’oltremare nella prospettiva dei Sindici Inquisitori in Levante), per l’impero ottomano, sino alle avventure coloniali italiane del secolo passato, l’energia prorompente dalle società affacciate sul Mare Nostrum divenute metropoli di vasti possedimenti le orienta al dominio sul mare, attraverso il quale l’influenza del centro politico sulle sue periferie, prima e dopo la conquista militare, è, o vorrebbe essere, soprattutto influenza culturale.
È su questa influenza, per così dire, mediata che si fonda il consenso al potere imperiale –alimentato da un costante scambio con gli spazi culturali assoggettati (Amelia W. Eichengreen, The Archaeology of Entertainment in Roman Athens: A Closer Look at the Theatre of Dionysus)–, capace di imporre la propria prospettiva sulla narrazione storica (Pauline Duchêne, Da Augusto personaggio storico a Augusto modello storiografico; Filippo Gorla, La costruzione ideologica del ‘sistema imperiale mediterraneo’ fascista) e di piegare, entro certi limiti, le consuetudini di governo alla ragion di Stato, nel nome della conservazione della pace interna (Andrea Angius, La contio tardorepubblicana: il contributo delle istituzioni popolari alla soppressione della sovranità popolare).
Più che una via di comunicazione per il passaggio di uomini (armati di penna o di spada) e merci, in relazione agli imperi mediterranei, il mare appare la via maestra attraverso la quale la metropoli raccoglie adesioni e impone disciplinamento (Paolo Nestola, Nelle Terre dei Grifoni: Vescovi ibridi e disciplinamento antroponomastico nelle frontiere dell’impero spagnolo), valendosi della propria forza militare, della propria autorevolezza, ma soprattutto di un cospicuo flusso di informazioni politicamente rilevanti (Juan Carlos Rodríguez Pérez, Tráfico de noticias. La revuelta de Mesina en la correspondencia del embajador español en Génova, el Marqués de Villagarcia).
Disciplinamento che –soprattutto dopo il tramonto dello Stato composito d’Ancien Régime, base irrinunciabile per la convivenza di tradizioni culturali, linguistiche e giuridiche differenti, in favore del livellamento giuridico e amministrativo–, a partire dai primi decenni dell’Ottocento, si misura con l’insorgere dei moderni nazionalismi (Lidia Cuccurullo, Fiamuri arbërit (1883-1887): un periodico arbëreshë per la costruzione identitaria albanese tra risorgimento italiano e decadenza dell’impero ottomano; Petar Bagarić, The Habsburg Empire and Its Role as an Incubator of Croatian national Identity in Dalmatia and Istria): uno scontro tra centri e periferie, prima, e tra opposti sistemi ideologici fondati sul culto quasi sacralizzato dell’identità patria, poi, di cui a fare le spese sono, non a caso, soprattutto i ‘ponti’ gettati da secoli di esperienze comuni attraverso le due sponde del Mediterraneo. Ossia tutte quelle istituzioni la cui ragion d’essere sta nel farsi espressione di gruppi ai margini di grandi sistemi politici o nel dare voce a una minoranza linguistica o religiosa capace di alimentare occasioni di contatto e di scambio: è il caso de La Rassegna Italiana, il periodico prodotto dalla comunità italiana in Turchia tra Ottocento e Novecento, strangolata nella sua vitalità intellettuale tanto dalla fascistizzazione della cultura italiana quanto dall’imposizione forzosa della lingua e della civiltà turca su una comunità, quella anatolica, multi-etnica, multi-linguistica e meticcia per antichissima tradizione.

Michele Rabà

(Notiziario n. 77, maggio 2017, pp. 16-17)