Homero Aridjis, «La poesía llama», México, FCE, 2018

Homero Aridjis, La poesía llama, México, FCE, 2018, 188 pp.

La poesía llama, raccolta poetica di Homero Aridjis del 2018, si presenta suddivisa in quattro sezioni: una prima, che dà il titolo al libro, seguita da «Poemas del presente lejano», «Las cuatrocientas voces del azul» e «Preámbulo a la noche». Suggestiva è la bivalenza del titolo, che in spagnolo si presta ad una doppia lettura: poesia come fiamma, fuoco vivo e sempiterno; ma allo stesso tempo come porta, passaggio, richiamo ad un altro mondo, ad un’altra dimensione.

Il libro non poteva che essere dedicato alle donne che costellano la vita di Aridjis, alle muse indiscusse di una fulgida traiettoria artistica. Ma, oltre alla moglie («No te amo por lo que eres / sino por lo que yo soy cuando estoy contigo», p. 40), alle figlie e alla nipotina (pp. 109-114), molteplici sono le figure femminili da cui lo scrittore messicano trae ispirazione e che popolano le sue composizioni.

Donne divine, impalpabili, come Bárbara (pp. 57, 144) o le vergini sorte dalle acque (p. 121). Donne concrete, come la madre immortale (pp. 134, 173), le prostitute (pp. 19-20), la giovane Minerva (p. 26), la bimba delle farfalle (p. 27), le furie (p. 63) o la Nahui Olin che vive «fuera de la realidad, como en un espacio sin tiempo habitado por el sueño y la locura, donde lo pretérito está vivo, donde los difuntos están presentes con su habitual picaresca, y mezquindad» (p. 176).

A sorpresa, nella breve poesia che chiude la raccolta, le «Tres musas» sono «la tarde / la lluvia / la nada // y la no contada luz / novia mendiga / de mi vida diaria» (p. 181): elementi magici che hanno il potere di trasformare la realtà, di vivificare la prosaicità quotidiana e di eternizzarla nell’atto poetico a cui nulla è negato, come si apprezza nella sinestesia de «La casa de mi infancia» (p. 60).

Poesia in prosa è pure l’intenso testo di chiusura, «Poesía sobre poesía», in cui Aridjis svela l’origine della sua parabola poetica, dove si fondono tempo e spazio personale, oltre un’apparenza piatta e banale: «Muerto el yo, la poesía / huérfana de palabras, / abrirá las puertas del misterio» (p. 59).

La poesia è intesa come un diario intimo che si arricchisce con gli anni, attraverso esperienze proprie e altrui, pensieri personali o corali, intimi o raccolti sul percorso, letture, rivelazioni o reazioni, seppur preservando sempre il patto di lealtà con l’estro poetico. E si alimenta «del estremecimiento verbal, o mudo, que nos deja el relámpago en la mente, la presencia ubicua de lo numinoso» (p. 183), nonché del sentimento provocato dalla coscienza dell’assenza e nel contempo onnipresenza del divino nella nostra vita.

Ma non solo di cose immani è fatto il diario segreto: oltre ai grandi fenomeni, è popolato di piccole e semplici cose, come ci insegnano i principali poeti, come Orazio, Dante, Quevedo, Leopardi, Hoelderlin, Swedenborg, Blake, Baudelaire, Rilke, Luzi. E come la lezione di Aridjis, magistralmente, ci restituisce.

Patrizia Spinato B.

(Notiziario n. 101, maggio 2021, p. 22)

Homero Aridjis, «El nuevo Apocalipsis» (Antología), José Carlos Rovira, Aníbal Salazar Anglada, Víctor M. Sanchis Amat (eds.), Madrid, Editorial Verbum, 2020

Homero Aridjis, El nuevo Apocalipsis (Antología), José Carlos Rovira, Aníbal Salazar Anglada, Víctor M. Sanchis Amat (eds.), Madrid, Editorial Verbum, 2020, 548 pp.

Eccellente e quanto mai attuale questa iniziativa dei colleghi spagnoli di riunire in un’antologia i testi che, all’interno dell’opera di Homero Aridjis (Contepec, 1940), possono essere ascritti ad una poetica apocalittica che effettivamente soggiace alla produzione saggistica e artistica dello scrittore messicano e nel contempo costituiscono un efficace percorso di lettura per il pubblico spagnolo.

Già Giuseppe Bellini, alla cui memoria è affettuosamente dedicato il presente volume e come viene ricordato nelle pagine introduttive (pp. 14-16), aveva individuato e isolato questo filo conduttore tematico all’interno dell’opera poetica, narrativa e drammaturgica dell’amico Aridjis in una monografia critica del 2013 (I tempi dell’Apocalisse. L’opera di Homero Aridjis, Roma, Bulzoni Editore, 129 pp.). Ed effettivamente una ricognizione dei testi in cui è rilevabile la vocazione apocalittica sembra pertinente e doverosa per la sua definitiva canonizzazione.

Nell’introduzione, intitolata «Recuperar el pasado hacia un futuro imposible: visiones apocalípticas en la obra de Homero Aridjis», i tre curatori richiamano la genesi del progetto, quando durante un incontro presso l’Ateneo alicantino nel 2019, proposero allo scrittore una raccolta tematica sul ricordo e sul presentimento dell’Apocalisse nella sua opera, «una posibilidad para demostrar la profunda coherencia de quien ha transitado los caminos de autodestrucción del mundo, operada por mano de sus habitantes y de los poderes que los dirigen en la generación del desastre» (p. 11). L’Apocalisse di Aridjis, seppur la richiami, non coincide con quella evangelica, giacché il protagonista ed artefice del dramma della fine della storia sarà l’uomo stesso, ripercorrendo all’indietro il processo di creazione divino. Risulta pertanto dirimente riflettere su come il passato permette di costruire mondi che spieghino anche quello che sta accadendo nel presente, il Quinto Sole.

La prima sezione, «Ensayo», è composta da due lunghi saggi del 1997, «Apocalipsis con figuras» e «El milenio del sol». «Poesía» comprende trentatrè poesie di varia estensione, mentre «Novela» include cinque brani tratti da altrettanti romanzi, pubblicati tra il 1982 e il 2012. Due sono invece le opere teatrali prese ad esempio, Espectáculo del año 2000 e Gran teatro del fin del mundo, quando le battaglie ecologiste sono rappresentate da quattordici brani di differente ispirazione tematica, dall’inquinamento alla sovrappopolazione.

Il broche de oro è sicuramente costituito da «El nuevo Apocalipsis», testo inedito di Homero Aridjis del 20 aprile 2020, inserito come epilogo al libro. Qui, dopo averci rivelato che la sua iconografia apocalittica prediletta risale ad Albrecht Dürer, Aridjis riassume la propria visione drammatica del futuro, sicuramente acutizzata dalla pandemia in corso: «el nuevo Apocalipsis ha comenzado ya, y […] solo es cuestión de tiempo ver la forma que toma. Pero de una cosa sí estamos seguros: si bien el final será terrestre, tendrá impactos imprevisibles en el cosmos. El apocalipsis será ecológico […], con consecuencias imprevisibles en la psique humana» (p. 538).

Ragionevole la scelta bibliografica, che riporta solamente i testi utilizzati e citati ai fini della realizzazione dell’antologia, pertanto agile e perfettamente calibrata per il pubblico a cui è destinata.

Patrizia Spinato B.

(Notiziario n. 99, gennaio 2021, pp. 15-16)

21 marzo, giornata mondiale della poesia: Yenifer Castro Viguera legge i suoi versi

In occasione della giornata internazionale della poesia, Yenifer Castro Viguera, poetessa cubana, legge le poesie composte durante il soggiorno presso la sede milanese dell’ Isem.

La maratona poetica di domenica 21 marzo potrà essere seguita sia sul profilo Fb che sul Canale YouTube Cnr Isem Milano e prevede la recita di sei poesie nel corso della giornata.

Marisa Martínez Pérsico, «El cielo entre paréntesis», Granada, Valparaiso ediciones

Marisa Martínez Pérsico, El cielo entre paréntesis, Granada, Valparaiso ediciones, 2017, 75 pp.

Nata a Buenos Aires nel 1978, Persico è poetessa, critica letteraria e docente universitaria. Si è laureata in Lingue e Letterature Moderne presso l’Università di Buenos Aires, è dottore di Ricerca in Filologia ispanica presso l’Università di Salamanca e dal 2016 è ricercatrice del CONICET argentino.

Tra i titoli della sua produzione poetica ricordiamo: Las voces de las hojas, del 1998, Poética ambulante, del 2003, Los pliegos obtusos, del 2004 e La única puerta era la tuya, del 2015. Ha pubblicato inoltre cinque monografie sulla letteratura argentina, spagnola e ecuadoriana del XX secolo, oltre a numerosi articoli. Ha ottenuto dall’UNESCO nel 1995 il primo premio per il saggio dedicato alla commemorazione del centenario della caduta in battaglia di José Martí.

La poetica di Marisa Martínez Pérsico è sempre appassionata e intima, caratterizzata da puro lirismo; la meditazione, la speranza, la memoria donano ai suoi versi un’incantevole intelligibilità e la sua capacità di saper ‘ascoltare’ il mondo la pone quale attenta uditrice delle emozioni silenziose: «Tal vez lo que importa del paisaje / es mercer un asiento en la memoria / de alguien que nos quiso / cuando estamos ausentes» (p. 19).

In El cielo entre paréntesis, in modo particolare, lo sguardo dell’autrice si sofferma sull’ascolto delle esperienze ‘tra parentesi’, quelle non dichiarate o quasi archiviate, le incertezze della vita, i dubbi che sempre imperversano negli angoli più intimi di ciascuno, un’ode meditata sul passare del tempo: «Cierra los ojos. / Viaja conmigo en el extenso / territorio del instante. / Quiero sentir las hojas que crepitan / bajo el peso ondulante de tu cuerpo» (p. 20).

Emilia del Giudice

(Notiziario n. 97, settembre 2020, pp. 14-15)

Pablo Neruda, «Alla donna. Odi elementari e altre poesie», a cura di Giovanni Battista De Cesare, Firenze, Passigli Editori, 2019, 152 pp

Pablo Neruda, Alla donna. Odi elementari e altre poesie, a cura di Giovanni Battista De Cesare, Firenze, Passigli Editori, 2019, 152 pp.

           Per le cure di Giovanni Battista De Cesare, Professore emerito dell’Orientale di Napoli, e dedicata alla moglie Antonietta, è questa nuova preziosa antologia di poesie del Premio Nobel cileno, che attinge a raccolte diverse per focalizzarsi sulle onnipresenti, complementari figure femminili nerudiane: «No me gusta / el hombre / sin mujer, / ni la mujer / sin hombre» (p. 34).Neruda
Come ben sottolinea De Cesare nel saggio introduttivo, intitolato «L’amore il tempo la vita», rispetto al precedente volume Ode alla rosa, Neruda presenta qui un altro modello psicologico: «dialoga con i palpiti dell’amore, moti dell’io personale, interiore. Non tanto l’eros, l’amore degli amanti, quanto piuttosto l’amore dell’amante verso l’amata, l’amore come specchio dell’anima del poeta» (p. 5). L’amata risulta quindi destinataria grazie alla genuina passione dell’amante e al suo delicato inno umano ed esistenziale.
La donna di Neruda non è angelicata, è concreta, presente, ben individuabile nelle sue molteplici declinazioni: madre, matrigna, amante, sposa, lavandaia, giardiniera, sarta, dotata di mani, capelli, occhi, seni, piedi. Ognuno è chiamato a completarsi e a cercare la propria, irrinunciabile metà: «Yo quiero / que las vidas se integren / encendiendo los besos / hasta ahora apagados. / Yo soy el buen poeta / casamentero. / Tengo novias / para todos los hombres. / Todos los días veo / mujeres solitarias / que por ti me preguntan. / Te casaré, si quieres, / con la hermana de la sirena de las islas. / Por desgracia, no puedes / casarte con la reina, / porque me está esperando. / Se casará conmigo.» (p. 38).

Patrizia Spinato B.

(Notiziario n. 96, luglio 2020, p. 16)

Juan Carlos Mestre, «Non importa ormai vivere, bensí la vita», a cura di Tomaso Pieragnolo, Osimo, Arcipelago itaca Edizioni, 2019

Juan Carlos Mestre, Non importa ormai vivere, bensí la vita, a cura di Tomaso Pieragnolo, Osimo, Arcipelago itaca Edizioni, 2019, pp. 160.

Mestre Spinato

Tomaso Pieragnolo, traduttore e a sua volta poeta, propone per i tipi di Arcipelago itaca Edizioni di Osimo una selezione di poesie di Juan Carlos Mestre, in originale e con la versione italiana a fronte.
Nato a Villafranca del Bierzo nel 1957, Juan Carlos Mestre è saggista, poeta, musicista e artista visivo. Molti sia i libri che le opere grafiche e pittoriche che lo hanno reso noto, tanto in Spagna come all’estero, e che gli hanno fatto meritare non pochi riconoscimenti, a partire dal Premio Adonáis de Poesía nel 1985, alla Menzione d’onore al Premio Nacional de Grabado de la Calcografía Nacional del 1999 per terminare con il Premio Castilla y León de las Letras nel 2018.
Tra i titoli della sua produzione poetica ricordiamo: Siete poemas escritos junto a la lluvia, del 1982; La poesía ha caído en desgracia, del 1992; La casa roja, del 2008; Un poema no es una misa cantada, del 2013. È inoltre presente nella sezione di Poesía española contemporánea della Biblioteca virtual Miguel de Cervantes: http://www.cervantesvirtual.com/portales/poesia_espanola_contemporanea/.
Nel saggio introduttivo, dal titolo «Juan Carlos Mestre, una feroce tenerezza», Tomaso Pieragnolo chiarisce le scelte operate nella presente antologia: predilige cioè due libri non recenti, Antifona dell’autunno nella Valle del Bierzo e La tomba di Keats, ma da lui considerati fondamentali nella traiettoria poetica di Mestre, a partire dal forte ascendente romantico-decadente fino ai tratti gotici. La sua è «Una testimonianza morale che tenta di usare la creazione contro il potere, che prova a fare ordine nel nostro caos denunciando che questo tempo manca di dignità, che a tutt’oggi non siamo in grado di coniugare umanamente verità, vita e bellezza» (p. 7).
Mestre è stato tra gli artisti ospiti della Reale Accademia di Spagna a Roma: il soggiorno, particolarmente proficuo, gli è valso il Premio Jaén di poesia nel 1999 proprio per la raccolta intitolata La tumba de Keats, da cui estrapoliamo i seguenti versi, presenti a chiusura dell’antologia di Pieragnolo: «echad la risa al fuego, cerrad la luz desnuda con candado, / no importa ya vivir sino la vida, no importa ya morir sino lo humano» (p. 150).

Patrizia Spinato B.

(Notiziario n. 95, maggio 2020, p. 13)

Raúl Zurita, «La Vida Nueva. Versión final», Santiago de Chile, Lumen, 2018

Raúl Zurita, La Vida Nueva. Versión final, Santiago de Chile, Lumen, 2018, pp. 612.

    Nel 1994 fa capolino nel panorama letterario cileno un libro di poesie intitolato La Vida Nueva. È il terzo volume di una trilogia e, come i precedenti Purgatorio e Anteparaíso, evoca il titolo di un’opera di Dante Alighieri. Tuttavia,Raul Zurita il libro è frutto di una mutilazione editoriale: la versione originale non era pubblicabile a causa dell’elevato numero di pagine. Come nelle migliori storie a lieto fine, però, dopo la riscoperta di alcuni manoscritti che Zurita aveva venduto ad un collezionista privato in tempi di ristrettezze economiche, è cominciato un processo di riscrittura che ha dato vita a diversi adattamenti sino ad arrivare alla Versión Final.
Il cuore del libro è lo stesso, anche se è necessario evidenziare l’apporto di alcune modifiche fondamentali. L’incipit de La Vida Nueva Versión Final rimane invariato rispetto alla prima edizione: comincia con dieci racconti di sogni che il poeta cileno ha registrato nel campamento Silva Henriquez.
Se nella prima versione il capitolo seguente era il famoso «Cantos de los ríos que se aman» (in italiano: «Canto dei fiumi che si amano», tradotto da Ignazio Delogu, edito da Le Parole Gelate, 1994), in quest’ultima si apre una sezione il cui titolo è la traduzione di alcuni versi di una canzone degli U2 e di Luciano Pavarotti: «Dices que como el río el amor vendrá» (p. 21). Questa citazione è emblema di una delle novità più interessanti della versione finale della Vida Nueva: l’autore inserisce nel libro dei collegamenti intertestuali a Youtube. Questa scelta, assolutamente innovativa, ha un doppio obiettivo: in primo luogo, adottare le parole dei brani per dare una nuova chiave interpretativa ai contenuti; in secondo luogo, dare enfasi ai testi che si stanno leggendo con la musica di Bach (p. 404) e di Mozart (p. 402).
La descrizione dell’orrore della dittatura è un altro grande tema de La Vida Nueva e viene risolto dalla capacità di sopravvivenza dell’uomo attraverso l’amore. Per veicolare questo messaggio, Zurita arricchisce il libro con ulteriori elementi: è possibile trovare infatti un’ingente quantità di riferimenti al mondo mapuche, molti di più rispetto alla prima versione, oltre che un’evoluzione della descrizione della natura. L’incontro con i poeti Elicura Chihuailaf e Leonel Lienlaf (che scrive in lingua mapudungun) sancisce il principio di una nuova visione rappresentata già nella Vida Nueva pubblicata nel 1994 e che assume una forma più definita nell’edizione più recente. A partire da questo incontro, di fatto, qualcosa cambia profondamente: la respirazione dell’universo a cui si riferisce Zurita, che è la chiave della sua relazione viscerale con la natura ed è ben espressa nella Vida Nueva del 1994, si amplia e dà nuove immagini nella sua versione finale.
Di grande importanza è la parte intitolata «I fiumi del paradiso» (p. 141), dove si introduce un nuovo personaggio, Lorenza Lienlaf, assente nella prima pubblicazione, nonché l’approfondimento della storia del «hombre que habla con su cintura» che, come indica il professor José Carlos Rovira, è «una historia mapuche que seguramente procede de las guerras llamadas de pacificación del XIX […]; es un violento castigo que los soldados chilenos realizan en una batalla con los indígenas, en la que matan a un joven y con la piel confeccionan una bandera y su cabeza la cuelgan a la cintura de su padre» (José Carlos Rovira, Congreso AEELH, Vigo, 2018). Nella nuova versione della Vida Nueva, il racconto termina con l’assegnazione di nuovi ruoli a padre e figlio. Ormai non si tratta più dell’uomo di cultura mapuche e del figlio il cui corpo fu fatto a pezzi, ma del padre dello stesso Raúl Zurita a cui domanda preoccupato: «Padre […] ¿Usted sufre cargándome?» (p. 157).
Un’altra figura di fondamentale importanza è quella di Aladín Ibáñez: «Es en 1984 cuando me voy al sur, Coyhaique, Aysén, el río Futaleufú, el lago Yelcho, con Jack Schmit […] y por Jack conocí al botero Aladín Ibáñez que me abrió a todo ese mundo de los ríos que marca tanto a La Vida Nueva» («Ver imborrables manuscritos y llorar…» por Benoît Santini, http://www2.mshs.univ-poitiers.fr/crla/contenidos/Archivos/filologica/filologic_67.pdf [última consulta: 27/01/2020]). La saga della familia Ibáñez nella nuova versione è notevolmente ampliata rispetto alla prima edizione, dando luogo a uno spazio esteso in cui vive la nuova alba americana.
La recente pubblicazione presenta molte variazioni, tanto nei titoli quanto nelle strutture. Ciò nonostante, bisogna sottolineare che l’essenza del libro non cambia: Raúl Zurita mobilita la natura per far sì che viva, soffra, e trovi consolazione, così come lo fa l’uomo dolente. Con questa finalità, si premura di aprire alcune sezioni con i rimandi a Youtube per far sì che l’esperienza del lettore sia più immediata. Rende un grande tributo al mondo mapuche e avverte l’umanità circa gli orrori della dittatura.
Infine, a dimostrazione dell’amore che vince su tutto, conclude con un messaggio a Paulina Wendt, con quien morirá, per ricordare a lei e a sé stesso che non tornerà mai più a perdere ciò che ha perso ormai troppe volte nella sua vita. È il 17 agosto del 2018 e lei determina il suo cammino finale verso la felicità.

Elisa Munizza

(Notiziario n. 93, gennaio 2019, pp. 12-13)

Paola Oliva, “Cosmo. L’eterno poetico”, Postfazione di Sandro Medici, Lavis, Edizioni Progetto Cultura, 2019.

Paola Oliva, Cosmo. L’eterno poetico, Postfazione di Sandro Medici, Lavis, Edizioni Progetto Cultura, 2019, pp. 111.

     Cosmo. L’eterno poetico, nuova raccolta di poesie di Paola Oliva, ha per sottotitolo: Sogno malinconico notturno alla ricerca dell’umano pensiero sperso nell’Universo (ANNO 2018) e, come chiarisce l’autrice nella nota introduttiva, è composta da due progetti distinti e distanti tra loro.Cosmo l'eterno poetico
Cosmo. L’eterno poetico è la prima sezione, inedita, che vede la luce dopo quattro anni dall’ultima silloge (Sentiero degli elfi). Contrapponendosi alla ricerca squisitamente scientifica, racchiude gli interrogativi e le aspirazioni che ognuno di noi si pone davanti all’infinito e a cui si tenta di dare risposte effimere, nell’impossibilità di superare i limiti della nostra capacità intellettiva.
L’unica certezza è la brevità della nostra esistenza, allietata dalle meraviglie del firmamento: «Un buco nero / viaggia pel cielo, / magnete potente, / raccoglie e distrugge / le ansie e i dolori / lasciando libera / l’illusione del niente» (p. 22).
Analoga è l’ispirazione della seconda raccolta, Venus e dintorni, già parzialmente presentata al pubblico nel corso degli anni.  La matrice è analoga, ispirata al manto stellato e a tutto quello che Venere suscita ed ispira, nelle sue molteplici declinazioni.
L’autrice, ad esempio, s’interroga sul senso del tempo: «Vorrei tendere le mani / all’infinito, / dove la ricerca si fa uomo / dove l’uomo / si fa vento, / dove l’aria / dispiega le sue braccia / persa / in un unico sospiro» (p. 73).
Interessante è anche la definizione della poesia: «Poesia è anche niente / un vuoto di parole / un sapore riposto / di silenzio profondo / e felicità latente. / Poesia è la galassia lontana / che ascolta e ripete / il canto suadente del mondo. / Poesia è la notte che brilla / di stelle cadenti una gioia / di lune e sogni screziati. / Poesia è la vaga lezione / che arriva veloce dal vento, / un soffio profondo / di attimo sfuggente» (p. 29).

Patrizia Spinato B

(Notiziario n. 91, settembre 2019, pp. 13-14)

Fernando Villalón, Islas del Guadalquivir, Edición de Jacques Issorel, Sevilla, Renacimiento, 2018.

Fernando Villalón, Islas del Guadalquivir, Edición de Jacques Issorel, Sevilla, Renacimiento, 2018, pp. 303.

    Le cure di Jacques Issorel offrono al pubblico questo gioiellino della lirica andalusa, un’antologia poetica dedicata a Fernando Villalón per i tipi di Renacimiento.
Il prologo, garbato e misurato, ci introduce al poeta e al clima in cui nacque e si formò. La vasta tenuta dei nonni materni, i marchesi di San Gil, gli diedero i natali nel 1881 e lo videro crescere fino a fargli maturare un fortissimo legame con le terre d’origine che lo portò ad investire la cospicua eredità in un «quijotesco ideal» (p. 8): un allevamento di tori da combattimento.Islas Guadalquivir234
Al sogno si frapposero due ostacoli: le sue scarse doti amministrative e un improvviso cambiamento dei gusti del pubblico delle corride. Al combattimento violento, con tori forti e selvaggi, si cominciò infatti a preferire lo spettacolo, l’opera d’arte, l’esibizione del torero, pertanto con animali piú pacati e prevedibili. Per quanto Villalón idealmente non accettasse che il ruolo dell’animale fosse ancillare a quello dell’uomo, nel giro di pochi anni dovette dichiarare fallimento e vendere il bestiame.
Ma, come sottolinea Issorel, «Lo que perdió el ganadero, lo ganó el poeta» (p. 9): infatti, gli anni trascorsi nelle campagne andaluse, sulle rive del Guadalquivir, ma anche a Siviglia, riempirono la sua memoria ed i suoi sensi fino a far emergere prepotente il desiderio di tradurre le emozioni in versi. Fu cosí che cominciarono a venire alla luce raccolte quali Semblanza de matadores, Andalucía la Baja, La Toriada, Romances del 800.
Malato e assillato dai debiti, fu aiutato dal fratello a trasferirsi a Madrid insieme alla sua compagna, Concepción Ramos Ruiz. Nella capitale visse solo pochi mesi, giacché non superò un intervento chirurgico a cui fu sottoposto e morí a quarantanove anni.
Ci informa il curatore dell’attività febbrile che lo spinse a scrivere e a pubblicare negli ultimi quattro anni: «Al igual que sus publicaciones, su creación literaria se concentra en muy pocos años y […] se observa en ella un doble movimiento ascendente, de lo concreto a lo abstracto, de la materia al espíritu, junto a una continua aspiración a una total libertad» (p. 18). Libertà che Villalón sperimentò nella vita, liberandosi di tutte le convenzioni sociali, prima ancora che in letteratura.
Altri temi presenti nella sua poesia sono la difesa ecologista ante litteram, l’emanazione animale delle forze telluriche, il desiderio di elevazione spirituale. I suoi versi sprigionano purezza, forza, introspezione, freschezza imperitura.
Chiude la sezione introduttiva una selezione bibliografica delle opere di Villalón (di cui ben cinque curate da Jacques Issorel) e dell’opera critica a lui dedicata; in quest’ultima parte spiccano nomi illustri, quali Rafael Alberti, Gerardo Diego, Juan Ramón Jiménez, ma anche lo stesso Issorel, o Díez de Revenga. Addirittura una voce in italiano, Fernando Villalón. Mito e canto popolare, firmato da Giuseppe Paglia ed edito a Parma nel 1992.
Il ventaglio di liriche proposte illustra efficacemente temi, emozioni, cromatismi legati alla natura ma anche ai manufatti: grano, palme, fichi, foglie, spighe, sole, rane, cicale, gatti, cani, tori, sentieri, pozzi, macchine… La presenza umana è limitata a mendicanti, mori, marinai, zingare, ma soprattutto a mandriani, che con i loro cavalli dominano il paesaggio rurale.
La struttura dei versi richiama le forme della tradizione orale, con i ritornelli, le rime baciate, le anafore, le allitterazioni, l’onomatopea… Tutto ci riporta ai moduli dei villancicos, delle jarchas, del canzoniere gitano, sebbene qui si personalizzino sia la struttura che i temi proposti.
La composizione numero 818, per esempio, introduce una figura materna, un allontanamento, un sentimento di dolore, tutti temi di una tradizione popolare condivisa e diffusa nel bacino del Mediterraneo: «Madre: cóseme esa hopa, / que sea con tus mismas manos. / Hoy salgo para Valencia, / mañana para el cadalso. / Que no te tiemble la aguja / que nosotros no temblamos».
Versi semplici ma al tempo stesso forti, efficaci, capaci ancora di ammaliare il lettore e di immergerlo in una dimensione bucolica di grande fascino.

Patrizia Spinato B.

(Notiziario n. 91, settembre 2019, pp. 12-13)

 

Luis de Góngora, “Sonetos”, Edición de Juan Matas Caballero, Madrid, Cátedra (Letras Hispánicas, 818).

Luis de Góngora, Sonetos, Edición de Juan Matas Caballero, Madrid, Cátedra (Letras Hispánicas, 818), 2019.

      Obra largamente esperada por los especialistas gongorinos (el editor ha empleado más de diez años en su realización), la presente edición de los sonetos de Góngora representa un momento culminante en el conocimiento de uno de los más celebrados poetas del Siglo de Oro. Para que el lector de esta reseña se haga una idea del libro que se presenta no será ocioso aportar algunos datos cuantitativos: la edición se pSonetos_Boixoresenta en formato más grande que el habitual en las ediciones de la colección (caja grande, como en la colección de Crítica y estudios literarios), que la editorial Cátedra ha empezado a utilizar recientemente para aquellas ediciones que por su extensión facilitaban su publicación. En efecto, nos encontramos con un voluminoso libro de 1740 páginas, cuya introducción ocupa las primeras 243 páginas (dividida en dos partes: la “introducción” propiamente dicha, es decir el estudio analítico de los sonetos gongorinos –las primeras cien páginas– y la «Bibliografía» el resto, un titánico trabajo que deja minuciosa constancia de los cerca de 200 manuscritos que recogen los sonetos de Góngora, de las ediciones antiguas y de la más completa bibliografía al respecto que el estudioso de Góngora pueda desear). Esta amplísima ‘introducción’, que en sí misma podría considerarse como una monografía, da paso a la edición de los 212 sonetos que el editor juzga de autoría segura, lo que supone un importantísimo avance en la fijación de los sonetos atribuidos a Góngora, más allá de los 169 del manuscrito Chacón, base de esta edición como no podía ser de otra manera. Tal como comenta Juan Matas, el manuscrito que preparó Antonio Chacón y que terminó un año después del fallecimiento del poeta cordobés, contó con la colaboración del autor y tiene la rara circunstancia de fijar la fecha de composición de cada poema. Ante la falta de autógrafos y de ediciones preparadas por el autor, el manuscrito Chacón debe ser la base de cualquier edición.
Si calificásemos de meritoria la labor editorial de Juan Matas seríamos injustos: he empleado anteriormente el término ‘titánico’ que es en realidad el que se ajusta al esfuerzo hercúleo llevado a cabo. Cada poema se presenta con una introducción de sus circunstancias de composición, desarrollo temático y detallada información sobre los estudios que le han dedicado otros estudiosos de Góngora, luego de la edición del soneto se señalan los manuscritos e impresos donde figura y una anotación extensa, verso a verso, en la que constan las variantes observadas en dichos manuscritos e impresos, comentarios sobre fuentes de inspiración, explicaciones de pasajes diversos, todo ello acompañado de las opiniones que otros críticos literarios han hecho al respecto. De esa manera, cada soneto cuenta con un número amplio de páginas dedicado a su estudio (en los más relevantes pueden sobrepasar las diez). Quiero destacar uno de los aspectos señalados, la utilización de los estudios de otros gongoristas. En estos tiempos del plagio –y ya no hablo del plagio directo, sino de la apropiación de las ideas de otro como si fueran propias– la ‘honradez intelectual’ que ofrece Juan Matas es todo un  ejemplo: se respeta el trabajo previo, que sigue siendo útil, y se concibe la crítica literaria como una cadena temporal en la que destacar las aportaciones fundamentales. El lector tiene, entonces, la seguridad de que las cuestiones planteadas reciben el tratamiento más óptimo, en una fructífera conversación entre las opiniones del editor y la de los estudiosos que previamente han afrontado esa misma problemática.
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