Homero Aridjis, La poesía llama, México, FCE, 2018, 188 pp.
La poesía llama, raccolta poetica di Homero Aridjis del 2018, si presenta suddivisa in quattro sezioni: una prima, che dà il titolo al libro, seguita da «Poemas del presente lejano», «Las cuatrocientas voces del azul» e «Preámbulo a la noche». Suggestiva è la bivalenza del titolo, che in spagnolo si presta ad una doppia lettura: poesia come fiamma, fuoco vivo e sempiterno; ma allo stesso tempo come porta, passaggio, richiamo ad un altro mondo, ad un’altra dimensione.
Il libro non poteva che essere dedicato alle donne che costellano la vita di Aridjis, alle muse indiscusse di una fulgida traiettoria artistica. Ma, oltre alla moglie («No te amo por lo que eres / sino por lo que yo soy cuando estoy contigo», p. 40), alle figlie e alla nipotina (pp. 109-114), molteplici sono le figure femminili da cui lo scrittore messicano trae ispirazione e che popolano le sue composizioni.
Donne divine, impalpabili, come Bárbara (pp. 57, 144) o le vergini sorte dalle acque (p. 121). Donne concrete, come la madre immortale (pp. 134, 173), le prostitute (pp. 19-20), la giovane Minerva (p. 26), la bimba delle farfalle (p. 27), le furie (p. 63) o la Nahui Olin che vive «fuera de la realidad, como en un espacio sin tiempo habitado por el sueño y la locura, donde lo pretérito está vivo, donde los difuntos están presentes con su habitual picaresca, y mezquindad» (p. 176).
A sorpresa, nella breve poesia che chiude la raccolta, le «Tres musas» sono «la tarde / la lluvia / la nada // y la no contada luz / novia mendiga / de mi vida diaria» (p. 181): elementi magici che hanno il potere di trasformare la realtà, di vivificare la prosaicità quotidiana e di eternizzarla nell’atto poetico a cui nulla è negato, come si apprezza nella sinestesia de «La casa de mi infancia» (p. 60).
Poesia in prosa è pure l’intenso testo di chiusura, «Poesía sobre poesía», in cui Aridjis svela l’origine della sua parabola poetica, dove si fondono tempo e spazio personale, oltre un’apparenza piatta e banale: «Muerto el yo, la poesía / huérfana de palabras, / abrirá las puertas del misterio» (p. 59).
La poesia è intesa come un diario intimo che si arricchisce con gli anni, attraverso esperienze proprie e altrui, pensieri personali o corali, intimi o raccolti sul percorso, letture, rivelazioni o reazioni, seppur preservando sempre il patto di lealtà con l’estro poetico. E si alimenta «del estremecimiento verbal, o mudo, que nos deja el relámpago en la mente, la presencia ubicua de lo numinoso» (p. 183), nonché del sentimento provocato dalla coscienza dell’assenza e nel contempo onnipresenza del divino nella nostra vita.
Ma non solo di cose immani è fatto il diario segreto: oltre ai grandi fenomeni, è popolato di piccole e semplici cose, come ci insegnano i principali poeti, come Orazio, Dante, Quevedo, Leopardi, Hoelderlin, Swedenborg, Blake, Baudelaire, Rilke, Luzi. E come la lezione di Aridjis, magistralmente, ci restituisce.
Patrizia Spinato B.
(Notiziario n. 101, maggio 2021, p. 22)