Leopoldo Marechal, “Polifemo”, edición preliminar y notas de Marisa Martínez Pérsico.

Leopoldo Marechal, Polifemo, edición preliminar y notas de Marisa Martínez Pérsico, Chieti, Edizioni Solfanelli, 2016, pp. 134.

   È con piacere che presentiamo l’opera teatrale Polifemo di Leopoldo Marechal, studio preliminare e note a cura di Marisa Mártinez Pérsico, con l’intervento di Giuseppe Gatti per la traduzione in italiano.
L’opera narrativa più conosciuta di Marechal, nato nel 1900 nella capitale argentina, è il romanzo allegorico Adán Buenosayres (1948), di breve eco ma che meritò una pregevole recensione di Julio Cortázar in un articolo pubblicato sulla rivista RePolifemo_delGiudice937alidad. Cultore entusiasta della poesia mistica del Siglo de Oro, Marechal rivolse il suo sguardo all’amore umano e divino e tra le sue opere in versi ricordiamo: Días como Flechas (1925), Laberinto de amor (1936). La sua propensione all’isolamento, accentuata forse dai pochi riconoscimenti ottenuti, lo allontana sia dalla famiglia che dagli amici e, tra il 1954 e il 1955, si ritira nella sua casa. Nel 1965 viene pubblicato il suo secondo romanzo, El banquete de Severo Arcángelo, per il quale merita il premio letterario argentino «Forti Glori» e che verrà tradotto in italiano da Lucio D’Arcangelo nel 1995 per Zanzibar. Probabilmente la sua aperta simpatia per il peronismo ha giocato un ruolo fondamentale riguardo alla sua opera, trascurata per molto tempo e poco conosciuta al di fuori dai confini argentini. Si spegne il 26 giugno del 1970 a Buenos Aires, per una sincope.
Il brano teatrale Polifemo, di trentadue pagine, datato 29 maggio 1948 e suddiviso in due atti di pari lunghezza, è la rielaborazione del canto IX dell’Odissea, riguardante l’incontro tra il Ciclope e Ulisse. Pur restando fedele allo svolgimento dei fatti raccontati nel poema omerico, l’autore argentino richiama la commedia aristofanea utilizzando la farsa e cosí rendendo l’opera estremamente agile e godibile.
La scena si apre ai piedi dell’Etna con Polifemo «concepito come un gigante carnevalesco» e il satiro Sileno e il Coro «con atteggiamenti e vestiti da balletto classico» (p. 61). È immediato per il lettore l’approccio al dramma in chiave parodica, che Marechal costruisce sdrammatizzando l’episodio classico e rappresentando i personaggi sotto una nuova luce, irriverente. In particolare, quello che favorisce la lettura è il linguaggio colloquiale, spesso colorito, che consegna questa pièce al mondo attuale e alla sensibilità moderna: «Polifemo: per l’anima di mio nonno Saturno! Sono ciucco come una damigiana!» (p. 87). Il testo risulta sempre vivace, la lettura scorre veloce: «CORIFEO: (Ai satiri.) Andiamo! Chi sarà il primo ad afferrare il tizzone che priverà il Ciclope della luce del biondo mattino? (Un canto stonato si sente nella grotta. Polifemo, con la sua maschera ebbra, esce barcollando tra Ulisse e Sileno che porta l’otre e il bicchiere). Shhh! Silenzio! Ecco che esce la bellezza in forma di Ciclope! Il suo canto e il suo profilo si armonizzano divinamente. Grande dio, come stona! Chi gli insegnò a cantare gli ha rubato i soldi» (ibidem).
L’opera di Marechal offre al contempo svariati spunti di riflessione e, come scrive la Mártinez Pérsico nel lodevole e completo studio preliminare, è un’opera che può essere letta e traslata nella rappresentazione di una particolare condizione sociale e civile dei cittadini che vivono al servizio del tiranno e che non godono di alcun diritto. I satiri sono i servitori che lavorano incessantemente per il malvagio e prepotente gigante che, divenendo cieco, manifesta tutta la sua follia e la sua stoltezza.
Alcuni richiami in nota chiariscono la scelta operata da Giuseppe Gatti per la traduzione, con la preferenza di mantenere  anche nel testo in italiano alcune parole in lingua originale onde evitare di trasmettere un significato improprio.
Polifemo rappresenta un’innovativa ricreazione drammatica nella quale Leopoldo Marechal, attraverso un linguaggio diretto e sempre brillante, affronta temi sociali e politici a lui molto cari, servendosi dell’opera teatrale quale strumento formativo per i lettori e gli spettatori.

Emilia del Giudice

(Notiziario n. 80, novembre 2017, pp. 12-13)