Elisa T. Munizza, «Raúl Zurita y Dante Alighieri: diálogo entre la selva oscura y las estrellas», Madrid, Editorial Verbum, 2022

Elisa T. Munizza, «Raúl Zurita y Dante Alighieri: diálogo entre la selva oscura y las estrellas», Madrid, Editorial Verbum, 2022, 287 pp.

Appare pubblicata, per i tipi di Verbum, parte della tesi dottorale discussa nel 2020 da Elisa Munizza presso l’Università di Alicante sotto la guida di José Carlos Rovira.

Dopo aver chiarito, nelle premesse, lo status quaestionis, lo studio si concentra sostanzialmente sui debiti danteschi nell’opera di Raúl Zurita, a partire dall’influenza della nonna materna, Veli, artista genovese che porge ai nipoti la cultura italiana classica, in particolare Dante Alighieri. A lei e al bagaglio linguistico e letterario italiano è dedicato il primo capitolo del libro, intitolato La patria del lenguaje: Josefina Pessolo.

Le influenze del sommo poeta sono evidenti fin dalle prime composizioni del poeta cileno, del 1970, come ben sviluppa il secondo capitolo, El infierno y su importancia en la lírica zuritiana. E, sebbene la prima parte della Commedia sia preponderante rispetto alle altre due, nessuna delle sue composizioni ne porta il titolo.

Il terzo capitolo, La Idea de Salvación, tratta della missione profetica di Dante e della strada per la felicità, che questa volta per Zurita non passa né dal poeta fiorentino, né dalle convinzioni religiose e politiche dell’ava italiana. Lo scrittore si percepisce quale un profeta, la cui missione è condurre l’umanità verso un luogo utopico attraverso un percorso inverso a quello dantesco, innescando la scintilla divina che è in ognuno di noi.

Nel quarto capitolo, Zurita como Dante: Auctor, Agens, Viator, Munizza cerca di distinguere i vari ruoli del poeta cileno, a partire dal contesto dittatoriale e nell’avvicendarsi di molte voci liriche disorientate ma componibili attraverso l’amore.

Zurita rafforza le conoscenze italiane trasmesse sul piano familiare attraverso lo studio, tanto da mettersi alla prova nella traduzione di Dante. Nel quinto capitolo, Raúl Zurita traduce la Divina Commedia: comentario a la traducción del V Canto, la studiosa analizza appunto i versi dedicati alle vicende di Paolo e Francesca, i riferimenti classici, i rimandi biblici nella ricreazione poetica dell’autore cileno.

Chiudono il volume, dopo La conclusión es la muerte del amor, un apparato di immagini, la traduzione del V canto dantesco a firma di Zurita e un’intervista di Munizza allo scrittore intorno ai procedimenti creativi, alla finalità della poesia, ai debiti della cultura italiana nella sua opera artistica.

Patrizia Spinato B.

(Dal Notiziario n. 112, marzo 2023, pp. 12-13)

Agenor Gomes, «Maria Firmina dos Reis e o cotidiano da escravidão no Brasil», São Luís, Editora AML, 2022

Agenor Gomes, Maria Firmina dos Reis e o cotidiano da escravidão no Brasil, São Luís, Editora AML, 2022, 360 pp.

Questo libro presenta un lavoro profondo e rigoroso svolto da Agenor Gomes sulla biografia, le opere e l’azione sociale di Maria Firmina dos Reis (1822/25 – 1917), considerata la prima scrittrice brasiliana, nata a São Luís do Maranhão e la cui attività si è svolta in campagna, a Vila de Guimarães, sempre nel Maranhão.

Maria Firmina, figlia di una schiava liberata, ha osato infrangere gli ostacoli imposti per la sua condizione di donna di colore in una società patriarcale e schiavista. È diventata insegnante, scrittrice, musicista e attivista sociale in un momento in cui anche le donne nate in famiglie benestanti erano private dei diritti basilari.

Il testo di Agenor Gomes è suddiviso in tredici capitoli, preceduti da un’introduzione. Nei primi due capitoli l’autrice contestualizza il momento storico-sociale in cui Maria Firmina visse gran parte della sua vita, il Maranhão nel XIX secolo. Nei capitoli 3, 4, 5 e 6 l’autore riporta la biografia e la produzione letteraria della scrittrice. I capitoli successivi, dal 7 al 10, sono dedicati alle varie sfaccettature di Maria Firmina: l’attivismo sociale, l’attività didattica e la causa abolizionista. I capitoli 11, 12 e 13 sono dedicati alle circostanze della sua morte, nonché alla scoperta e al riconoscimento della sua opera molti anni dopo.

Secondo Agenor Gomes, Maria Firmina rompe con la narrazione, adorata e alimentata dalla società schiavista del suo tempo, secondo cui i neri schiavi erano inferiori e meno capaci. Già prima di Castro Alves, riconosciuto autore abolizionista, Maria Firmina denunciava la violenza della schiavitù. Le parole ‘libero’ e ‘libertà’ furono inserite, da lei, nel vocabolario nero quasi trent’anni prima di Abolition. Già ultimato nel 1857, ma pubblicato solo nella seconda metà del 1860, il romanzo Úrsula, la sua opera più nota, inaugura il romanzo afrobrasiliano. Il nome dell’autore non compare nella prima edizione del libro, ma solo l’espressione «Una maranhense».

Dimenticata per decenni, fu grazie a José Nascimento Morais Filho che, nel 1978, l’opera di Maria Firmina dos Reis ricevette nuovo e grande interesse. Da allora, ci sono stati molti studi accademici sul suo lavoro dentro e fuori il Brasile, comprese le riedizioni aggiornate del romanzo Úrsula, la cui trama abolizionista emerge dallo sguardo dell’autrice nella stiva di una nave di schiavi, sulla base dei racconti ascoltati dai suoi antenati: «È la prima volta, nel romanzo brasiliano, che un personaggio nero africano, ridotto in schiavitù, ‘Preta Susana’, narra la tragedia della traversata atlantica nella stiva di un tumbeiro in Brasile» (p. 32).

Quanto alla storia pubblica di Maria Firmina, che inizia con il concorso per diventare insegnante, è segnata da polemiche e persecuzioni da parte delle autorità, soprattutto perché è una donna di colore che cerca istruzione, professione e riconoscimento. Dopo un lungo processo, che comprende anche il cambio della data di nascita, Maria Firmina viene nominata, il 16 agosto 1847, maestra sulla cattedra di prime lettere, che le impone di trasferirsi a Vila de Guimarães. L’istruzione avveniva separatamente per ragazze e ragazzi e a Maria Firmina tocca lavorare con le ragazze; esercita l’insegnamento per trentaquattro anni, fino a quando va in pensione, nel 1881.

Dagli anni Sessanta dell’Ottocento il movimento abolizionista acquista sempre più forza ed espressione e Maria Firmina, a sua volta, si impegna sempre più. Contemporanea di famosi abolizionisti come José do Patrocínio, Ruy Barbosa e Graça Aranha, nel 1887 scrive e pubblica il racconto «A escrava», lo stesso anno in cui è creata la Sociedade Abolicionista Maranhense, con sede a São Luis.

Tuttavia, nonostante tutti i suoi sforzi, i suoi stessi contemporanei non furono onesti con Maria Firmina e lei fu, a poco a poco, dimenticata e relegata. Quando fu creata l’Academia Maranhense de Letras non si ricordava nemmeno, tant’è che mancava una donna tra i fondatori, come era abituale all’epoca. A questo punto, Agenor Gomes ricorda che la stessa Accademia Brasiliana delle Lettere ha accettato la prima donna, la scrittrice Raquel de Queiroz, solo nel 1977.

Maria Firmina muore l’11 novembre 1917, in una casa semplice, circondata da gente umile. Dopo la sua morte, il suo lavoro è stato praticamente dimenticato ed è stato riscoperto quasi cento anni dopo. L’autore di questa recensione avverte un’enorme lacuna nella propria educazione, dovuta al fatto che non ha avuto contatti con i suoi libri a scuola. Per fortuna ultimamente sta crescendo molto l’interesse per l’opera di questa importante scrittrice brasiliana. 

Paulo Irineu B. Fernandes

(Dal Notiziario n. 112, marzo 2023, pp. 11-12)

Carmen Alemany Bay, «Textos inéditos e inconclusos de Miguel Hernández (Estudio y edición)», Jaén, Editorial Universidad de Jaén, 2022

Carmen Alemany Bay, Textos inéditos e inconclusos de Miguel Hernández (Estudio y edición), Jaén, Editorial Universidad de Jaén, 2022, 378 pp.

Il fascino dell’inedito seduce sempre sia il lettore che lo studioso. Bozze, appunti, materiali conservati volontariamente dall’autore o per affetto dagli eredi costituiscono un capitale preziosissimo per la ricerca filologica: anche quando non intaccano un corpus ufficiale e riconosciuto, in qualche modo contribuiscono a perfezionare la conoscenza dello scrittore e della genesi della sua opera.

È questo il caso dell’ultimo studio di Carmen Alemany Bay, una delle maggiori esegete dell’opera di Miguel Hernández, cui ha dedicato per decenni la propria attività critica da quando nel 1988, sotto la guida di José Carlos Rovira, ha intrapreso gli studi dottorali orientandosi sul poeta oriolano attraverso il fondo appena depositato dalla famiglia all’Archivio storico di San José di Elche: studi culminati nel 1992 con la tesi dal titolo El antetexto hernandiano. Análisis del proceso de escritura y propuestas para una nueva edición de la Obra poética de Miguel Hernández, in cui riscattava un centinaio di composizioni inedite e screditava la tesi secondo la quale la poesia di Hernández fosse improvvisata e non frutto di un coscienzioso lavoro personale. Sotto la supervisione del suo maestro e di Agustín Sánchez Vidal ha pubblicato le edizioni della Antología poética. El labrador de más aire (1990) e la Obra completa (1992), capitalizzando il suo lungo e minuzioso lavoro di ricerca. Oltre ad una decina di saggi, editi tra il 1988 ed il 2021, la cattedratica alicantina nel 2013 ha anche visto pubblicata dalla prestigiosa Visor la monografia Miguel Hernández, el desafío de la escritura. El proceso de creación de la poesía hernandiana.

A distanza di trent’anni, Carmen Alemany condivide con il pubblico altri centosettanta testi inediti trovati nei manoscritti: testi, non poesie, che ribadiscono l’«insistente y voluntarioso proceso de creación del poeta de Orihuela» (p. 18), esercizi letterari che documentano il suo apprendistato poetico e di cui si serví soprattutto per comporre le poesie del primo ciclo, Perito en lunas. A questi si aggiungono progetti di composizioni, poesie incompiute, disegni, note relative alla sua vita quotidiana, di grande valore emotivo. La studiosa alicantina insiste sull’«importancia de estos manuscritos porque el propio poeta los conservó como parte también de su obra y, después de su muerte, y no sin riesgos, su esposa Josefina Manresa los atesoró» (p. 19).

Nello studio introduttivo, la Alemany torna sui procedimenti adottati da Hernández per raggiungere la forma poetica a lui piú confacente: da parziale autodidatta, sperimenta e corregge incessantemente, soprattutto nel suo primo periodo artistico. Anche a livello grafico, rileva delle costanti (incisi, assenza di punteggiatura, oscillazione di maiuscole e minuscole, cancellature, varianti…) che aiutano a ricostruire la genesi del prodotto finale in versi, partendo da un testo solo a prima vista in prosa. Della totalità dei manoscritti inediti qui raccolti, la maggior parte, un centinaio, appartengono al primo ciclo della poesia hernandiana; rispettivamente una ventina ed una trentina al secondo e al terzo ciclo, e a meno di venti al quarto, nella tragica fase finale della vita del poeta.

I testi vengono riprodotti in modo chiaro e fruibile da pagina 85 a pagina 378; anche le note al testo sono leggibili e comprensibili anche per i non addetti ai lavori che sicuramente si avvicineranno all’opera. In questo modo la studiosa alicantina riesce nel suo intento di restituire la totalità del corpus testuale del poeta oriolano non solo ai filologi, ma anche a quel pubblico per cui Miguel Hernández è assurto ad una dimensione mitica grazie ad una biografia paradigmatica e ad un’opera, come qui è ben circostanziato, di solo apparente immediatezza e semplicità.

Il tutto è dedicato alla memoria di Carmencita, che era cresciuta nella cifra umana e letteraria del poeta, tanto da interiorizzarlo e da considerarlo figura quotidiana e familiare: come certamente Hernández avrebbe voluto, per tutti i suoi lettori.

Patrizia Spinato B.

(Notiziario n. 112, marzo 2023, pp. 10-11)

Krzysztof Pomian, «Il Museo. Una storia mondiale. I. Dal tesoro al museo; II. L’affermazione europea, 1789-1850», trad. a cura di Luca Bianco e Raffaela Valiani, Torino, Einaudi, I, 2021, XXX – 486 pp.; II, Torino, Einaudi, 2022, XIV

Krzysztof Pomian, Il Museo. Una storia mondiale. I. Dal tesoro al museo; II. L’affermazione europea, 1789-1850, trad. a cura di Luca Bianco e Raffaela Valiani, Torino, Einaudi, I, 2021, XXX – 486 pp.; II, Torino, Einaudi, 2022, XIV – 394 pp.

Krzysztof Pomian, attualmente direttore scientifico del Museo d’Europa a Bruxelles, è un filosofo, storico e saggista polacco che ha svolto tutta la sua carriera all’interno del CNRS in Francia dove è giunto nel 1973 per ragioni politiche. Storico emerito delle idee e intellettuale di fama internazionale, Pomian ha focalizzato la sua attività storico-filosofica sulla dottrina della conoscenza, sulla storia della cultura europea ma, soprattutto, sulla storia delle collezioni e dei musei, di cui è diventato uno dei massimi studiosi al mondo.

La sua monumentale impresa, Il Museo. Una storia mondiale, frutto di più di un trentennio di studi, traccia la storia del museo dalle origini fino ai giorni nostri e prende avvio da un passato lontano grazie al primo di tre volumi intitolato Dal tesoro al museo. La prima parte del libro costituisce un viaggio nel tempo: dall’Antichità greca, latina e orientale, si passa per i tesori reali del Medioevo, fino all’entusiasmo per le reliquie della Roma antica nelle cerchie dei principi e dei letterati con la nascita delle collezioni private. Vi incontriamo Carlo V, i re di Francia e Jean, duca di Berry, Petrarca e gli umanisti, i Gonzaga, gli Este e i Medici. La seconda parte è interamente dedicata all’Italia dove, dalla fine del Quattrocento, nascono e si diffondono i primi musei, dapprima a Roma, poi a Firenze, Venezia e Milano. Ed è dall’Italia che i visitatori provenienti dai paesi transalpini portano con sé, insieme ai ricordi di viaggio, il desiderio di avere un museo anche nella propria città, argomento di cui si occupa la terza e ultima parte del libro.

Una storia, quindi, dei diversi modi di contemplare, gestire e valorizzare gli oggetti, ma anche una storia di commerci, saperi e tecniche. Una storia di congiunture economiche, circostanze politiche, tendenze culturali e, non meno, clima religioso. E, al tempo stesso, è una storia affascinante di donazioni e vendite, furti e saccheggi, guerre e diplomazia, problemi giuridici e organizzativi, arte e architettura.

«Oggi esistono circa 85.000 musei,» afferma Pomian «forse di più, o forse di meno perché i musei si ribellano alle statistiche… e puntare all’esattezza equivale a sprofondare nell’illusione».

Moltissimo tempo è trascorso prima che il museo trovasse la sua forma e la sua funzione di conservazione, studio e messa in mostra dei suoi pezzi. Eppure, una storia mondiale dei musei, politica, sociale e culturale non era mai stata scritta. In quest’opera Krzysztof Pomian ci prende per mano e ci porta, innanzitutto, a riflettere sul gesto che per migliaia di anni ha condotto gli uomini a conservare, acquisire e accumulare oggetti ritenuti belli, interessanti, intriganti e rari per piacere personale, ma anche come attributo di potere e ricchezza. È da questa prima fase che a poco a poco sono emerse, parallelamente all’ideale democratico, le forme del museo di oggi, votato alla conservazione degli oggetti: un’istituzione in perenne sviluppo, utile allo svago e all’educazione di tutti.

Nel secondo volume, L’affermazione europea, 1789-1850, Pomian racconta come grazie alla Rivoluzione francese l’accesso ai capolavori artistici fu elevato al rango dei diritti dell’uomo e il museo, deputato a garantirne l’esercizio, divenne l’attributo fondante di una nazione. Il Louvre, rivoluzionario e imperiale, ne è il prototipo. In Europa, l’impatto del 1789 si protrasse fino alla metà del XIX secolo. Il saccheggio praticato dagli eserciti rivoluzionari e imperiali a beneficio della Francia rese gli individui consapevoli del carattere emblematico dei beni artistico-culturali per i popoli, e i musei contribuirono a legittimare il potere del sovrano conferendogli un carattere nazionale. Passando in rassegna i musei a partire dalla National Gallery, al British Museum, al Prado, ai musei borghesi di Francoforte e Lipsia cosí come all’Altes Museum di Berlino, alla Pinacoteca di Monaco, al Walhalla vicino a Ratisbona finanche ai musei di provincia, Pomian ne valuta la portata in quanto sono tutti il risultato di questa dinamica. Con la rivoluzione industriale, che trovò la sua più compiuta espressione nell’Esposizione universale di Londra del 1851, si chiude l’epoca che ha trasformato per sempre l’istituzione museale in una realtà democratica e nazionale, indispensabile in un paese civilizzato. Attendiamo di scoprire nel terzo volume quale sarà la sua evoluzione.

Alessandra Cioppi

(Notiziario n. 112, marzo 2023, pp. 9-10)

Paulo Irineu Barreto Fernandes, «Ensaio Sobre “The Dark Side of the Moon” e a Filosofia: uma interpretação filosófica da obra-prima do Pink Floyd», Maringá, Viseu, 2021

Paulo Irineu Barreto Fernandes, Ensaio Sobre The Dark Side of the Moon e a Filosofia: uma interpretação filosófica da obra-prima do Pink Floyd, Maringá, Viseu, 2021, 245 pp.

Há algo que incomoda na Filosofia acadêmica. Trata-se desta espécie de rigor que mais parece rigor mortis. Há um excesso de respeito que tolhe a criação. Por outro lado, principalmente nas redes sociais, observamos todo tipo de clichês ditos de orelhada a respeito de tal e tal filósofo. Parece-me que há um caminho criativo entre estes dois pólos: aquele que usa a filosofia como um modo de apropriação do mundo e da cultura. Alguns chamam de Filosofia Pop. Encaro como um jeito mais criativo de se fazer filosofia, sem se prender a um ou outro filósofo; mas, primordialmente, ao objeto de estudo.

É nesta seara que se inscreve o Ensaio Sobre Dark Side of the Moon e a Filosofia: uma interpretação filosófica da obra-prima do Pink Floyd. Os conceitos estão lá e são conhecidos e explicitados, mas cada um deles só é acionado quando a obra requer. É assim que o autor constrói sua análise de um dos álbuns mais importantes dos últimos cinquenta anos. Fernandes narra a história do Pink Floyd desde os primórdios. Traz a liderança e a loucura de Syd Barrett, mas se atém mesmo ao escrutínio das letras do disco mais importante da banda inglesa. São acionados, para elucidar e alargar a compreensão da obra, desde os pré-socráticos à escola de Frankfurt, passando por Santo Agostinho e o geofilósofo Milton Santos.

O que mantém a linha de coerência narrativa é o próprio objeto: o disco. Ao longo de mais de duzentas páginas, Fernandes tece um grande diálogo, uma roda de conversa sobre os temas profundamente humanos e filosóficos que transpassam as canções: a morte, a vida, a respiração, a passagem do tempo, a ganância, o dinheiro, o capitalismo. Como fã da banda e estudioso apaixonado por Filosofia, indico sem restrições. 

Daniel Lopes Guaccaluz

(Notiziario n. 112, marzo 2023, pp. 8-9)

Maria Cassella, «Come allestire e comunicare le mostre in biblioteca», Milano, Editrice Bibliografica, 2021

Maria Cassella, Come allestire e comunicare le mostre in biblioteca, Milano, Editrice Bibliografica, 2021, 50pp.

In previsione dell’evento di aprile, che vedrà il nostro centro di ricerca alle prese con l’apertura straordinaria della biblioteca, abbiamo scelto il manuale in oggetto per approfondire le strategie più adatte alla realizzazione della manifestazione e per pianificarla al meglio. Il manuale appartiene alla collana «Library Toolbox», pensata come un contenitore di strumenti e proposte pratiche per gli operatori del settore bibliotecario.

L’esergo scelto da Maria Cassella per il suo volume è un tweet del professore e direttore della School of Library & Information Science dell’Università del South Carolina David Lankes, che recita: «Bad libraries build collections, good libraries build services, great libraries build communities». L’aforisma ben si adatta all’argomento proposto dal libro, che racconta le biblioteche come luoghi sociali e come ‘conversazioni’, e in quanto tali necessitano di strategie adatte per essere comunicate.

Maria Cassella, responsabile dell’Area servizi bibliotecari del Campus Luigi Einaudi di Torino e direttrice della Biblioteca “Norberto Bobbio” dell’ateneo torinese, guida il lettore verso l’allestimento di una mostra bibliografica, uno dei principali metodi per promuovere la biblioteca e le relative collezioni. Partendo dall’importanza della comunicazione in qualsiasi tipo di mostra, si addentra nel campo bibliotecario, fornendo suggerimenti circa le migliori pratiche da attuare per realizzare un evento di successo.

Infatti, grazie all’attenzione sempre maggiore verso la Terza missione, recentemente nelle biblioteche sono state organizzate un numero crescente di mostre, con lo scopo di far conoscere il fondo bibliografico ad un nuovo pubblico, di valorizzare l’offerta culturale, di promuovere il proprio patrimonio e con altri obiettivi declinati a seconda della tipologia di ogni istituzione. Ma le mostre non sono eventi ordinari nelle biblioteche, che spesso sono concepite solo come luoghi di studio e di altre attività, come ad esempio presentazioni di libri, gruppi di lettura o corsi di formazione. E, quando vengono realizzate delle esposizioni, l’attenzione è focalizzata solo sul tema e sui contenuti, trascurando l’aspetto essenziale della comunicazione, relegato a mera attività secondaria, ma messo qui in rilievo dall’autrice.

Il percorso dell’organizzazione parte dall’individuazione del motivo della mostra, con conseguente selezione del tema e dei volumi da esporre. Nel momento in cui il libro viene utilizzato come oggetto d’arte, e dunque espositivo, il suo significato può differire dal suo contenuto: come nell’esempio riportato dalla studiosa, se il libro viene esposto in quanto manufatto (magari antico o con incisioni caratteristiche), esso comunicherà non tanto i suoi contenuti, quanto la sua forma. Di discreta importanza è dunque anche la disposizione di tali volumi, che indicheranno il percorso al visitatore. Cassella si sofferma anche sul miglior tipo di espositore da usare a seconda dell’oggetto, come leggii per i volumi aperti e vetrine a temperatura controllata per manoscritti preziosi.

Una volta stabilito il contenuto e ciò che si vuole comunicare con la mostra, è necessario decidere come comunicare la mostra stessa. A questo tema, l’autrice dedica tre capitoli: «Il sistema di supporti comunicativi esterni», relativo ai segnali utilizzati per catturare l’attenzione del visitatore, come i manifesti, ed accompagnarlo nella decodifica dei simboli della mostra, come le didascalie; «I supporti comunicativi digitali», sull’utilizzo della tecnologia in ambito museale, come i codici QR per gli approfondimenti o la riproduzione di video in loco, recuperabili anche sui relativi siti; «Oltre la promozione e la comunicazione: i social per raccontare una mostra», sulle molteplici potenzialità dei canali social per coinvolgere il pubblico e per raccontare la mostra ‘oltre la mostra’, con immagini del backstage, curiosità ed azioni partecipative.

Il manuale termina con un approfondimento sulle mostre virtuali, decisamente all’avanguardia e figlie del lockdown, con esempi tratti da diverse biblioteche italiane. Nelle conclusioni, l’autrice ribadisce due concetti fondamentali: gli strumenti comunicativi sono al servizio della mostra, non devono diventare i protagonisti togliendo spazio ai contenuti; inoltre, ogni mostra comunica, al di là delle proprie dimensioni e del budget di riferimento. Con un’attenta analisi degli obiettivi e del pubblico, e grazie alla lettura del volume in oggetto, si potranno acquisire competenze per allestire e gestire una mostra bibliografica di effetto, seguendo delle linee guida molto semplici ma precise: cosa si vuole comunicare, a chi lo si vuole comunicare, dove è meglio comunicarlo e come comunicarlo nel modo più opportuno.

Martina Mattiazzi

(Notiziario n. 112, marzo 2023, pp. 7-8)

Valeria Cafà, Andrea Canova (a cura di), «Non si farà mai piú tal viaggio. Pigafetta e la prima navigazione attorno al mondo», Milano, Edizioni Gallerie d’Italia – Skira, 2022

Valeria Cafà, Andrea Canova (a cura di), Non si farà mai piú tal viaggio. Pigafetta e la prima navigazione attorno al mondo, Milano, Edizioni Gallerie d’Italia – Skira, 2022, 118 pp.

Tra i primi prestigiosi risultati delle attività promosse dal Comitato nazionale pigafettiano presieduto da Marcello Verga è la mostra omonima, «che indagasse la spedizione nei suoi antefatti, nel suo svolgimento e nei suoi effetti di lunga durata» (p. 9) presso Palazzo Leoni Montanari di Vicenza, di cui si propone qui il catalogo.

Partendo dal manoscritto della Relazione del primo viaggio attorno al mondo, messo a disposizione dalla Biblioteca Ambrosiana di Milano, si segue giorno per giorno l’itinerario della scoperta e si ricostruisce «lo sguardo con cui questi navigatori, primi tra gli europei e certamente mossi anzitutto dalla voglia di conquistare il mercato delle spezie, osservarono […] le popolazioni, le culture, i sistemi sociali, alberi e specie animali prima a loro ignoti» (p. 13). In coda alle celebrazioni della prima circumnavigazione del mondo, intrapresa da Ferdinando Magellano nel 1519 e conclusa da Juan Sebastián Elcano nel 1522, riveste cruciale importanza il ruolo del vicentino Antonio Pigafetta che, dall’ombra iniziale sotto la protezione diretta del navigatore portoghese, non solo è tra i diciotto sopravvissuti che ritorna al porto di Siviglia sulla nave Victoria, ma consegna ai posteri l’unico preziosissimo diario di viaggio che documenta tutta l’impresa.

Assodata la centralità del manoscritto, esposto nella seconda delle tre sale del percorso dedicato, i curatori concentrano in quella precedente e in quella successiva documenti cartografici e storici che sottolineano le novità introdotte dalla Relazione di Pigafetta per le modalità cartografiche e per l’immaginario comune. Si indebolisce, per esempio, la visione aristotelico-tolemaica dei continenti simmetricamente distribuiti a est e a ovest e si abbandona l’idea che gli oceani Atlantico e Indiano siano un unico mare chiuso che impedisce l’accesso al Pacifico. Tra i pezzi esposti nella prima sala, anteriori al viaggio di Pigafetta, ricordiamo il Mapa Mondi di Giovanni Leardo, del 1448; il Registrum di Johann Reger, del 1486; l’Itinerario di Ludovico de Varthema, del 1510. Di grande efficacia è pure il breve video che ricostruisce tutte le tappe geografiche dell’impresa, annotando le progressive perdite di uomini e di navi.

A conseguenza del viaggio e dei documenti che ne fissarono i dettagli, si realizzarono mappamondi di incredibile modernità, come quelli di Castiglioni e di Salviati, ma soprattutto «la prima circumnavigazione del mondo contribuí a ripensare il ruolo della scienza e della geografia nella politica e nella società europea» (p. 39). Esposti a Vicenza risultano, tra gli altri, la Carta nautica delle Indie e delle Molucche di Nuño García de Toreno, del 1522; il Planisfero in forma ovale di Batista Agnese, del 1550 circa; il Theatrum orbis terrarum di Abramo Ortelio, del 1592.

A differenza delle mostre dedicate in questi ultimi anni a celebrare con grande solennità l’impresa di Magellano e di Elcano, si è scelto qui di scagionare Antonio Pigafetta dalla damnatio memoriae ufficiale attraverso un percorso espositivo breve ma intenso, in cui ogni pezzo possa essere adeguatamente valorizzato e di conseguenza apprezzato dal visitatore. Il viaggio celeberrimo viene quindi ricondotto alle pagine che lo resero immortale, e al cronista vicentino è finalmente riconosciuta quella centralità che la storia europea a lungo è sembrata negargli.

Patrizia Spinato B.

(Notiziario n. 111, gennaio 2023, pp. 10-11)

Carmen Pastor Villalba (dir.), «El español en el mundo 2022. Anuario del Instituto Cervantes, Alcalá, Instituto Cervantes, 2022», Alcalá, Instituto Cervantes, 2022

Carmen Pastor Villalba (dir.), El español en el mundo 2022. Anuario del Instituto Cervantes, Alcalá, Instituto Cervantes, 2022, 438 pp.
https://www.cervantes.es/lengua_y_ensenanza/hispanismo/anuario-del-instituto-cervantes.htm

L’Anuario del Instituto Cervantes è un documento con cadenza annuale che offre uno spaccato della situazione demolinguistica dello spagnolo nel mondo, permettendo all’istituzione di modificare i propri piani strategici nel suo percorso di promozione della lingua e al pubblico di conoscerne l’andamento.

Secondo le statistiche presenti nel primo capitolo, «El español: una lengua viva. Informe 2022» di David Fernández Vitores, più di 595 milioni di persone attualmente sono potenziali utilizzatori di tale idioma nel mondo. Il numero è la somma di tre gruppi demolinguistici: le persone con dominio nativo (più di 496 milioni), vale a dire i madrelingua; gli usuarios de competencia limitada (più di 75 milioni), l’insieme più eterogeneo che comprende individui la cui capacità di utilizzare la lingua può essere limitata grammaticalmente, sociolinguisticamente o stilisticamente, includendo dunque parlanti di seconda o terza generazione che la utilizzano solo in contesti familiari, oppure stranieri con residenza in un paese ispanofono che la usano solo per questioni lavorative e immigrati che la apprendono in maniera non regolare; infine gli aprendices (quasi 24 milioni), cioè studenti e studentesse che stanno seguendo un corso formale di lingua.

Dopo questa prima parte in cui fa da protagonista un’infografica attraente che evidenzia altri dati più significativi –come la posizione al quarto posto per parlanti mondiali o la previsione che nel 2060 gli Stati Uniti saranno il secondo paese ispanofono, dopo il Messico–, il capitolo prosegue in maniera più discorsiva, dando altre informazioni socio e geolinguistiche, corredate da utili tabelle e grafici. Per quanto riguarda il rapporto con l’Italia, essa compare nella tabella numero 4 «Número aproximado de estudiantes de español en el mundo. Clasificación por países» (p. 32), in cui si posiziona al quinto posto con un totale di 896.293 studenti di spagnolo.

Il rapporto continua toccando tanti altri argomenti legati alla lingua ed al rapporto con la società: la sua forza economica e il suo impiego nel mercato linguistico; il suo valore come strumento di comunicazione internazionale, con approfondimenti sull’espanglish, la varietà ibrida tra spagnolo e inglese; il suo utilizzo tra le comunità scientifiche, in cui può vantare ampie riflessioni e produzioni critiche sulle proprie aree di influenza, prima fra tutte l’America Latina; l’uso in internet, dove la maggior parte degli internauti madrelingua spagnola negli Stati Uniti preferisce creare e fruire contenuti, comprese le pubblicità, in spagnolo anziché in inglese, avvalendosi così di una comunicazione più informale e distesa che rappresenti entrambe le culture di appartenenza.

Il testo risulta molto interessante anche per chi studia lo spagnolo dal punto di vista sociale, economico e linguistico. La relazione presenta infatti non solo i dati circa l’uso dell’idioma e la sua diffusione nel mondo, ma contiene anche approfondimenti critici. Come ogni edizione, vengono scelti dei paesi specifici nei quali analizzare l’evoluzione internazionale dello spagnolo: quest’anno gli articoli vertono sulla Svizzera, i Paesi Balcanici, gli Emirati Arabi Uniti, il Kenya e il Madagascar.

Nel secondo capitolo, «Lenguaje e inteligencia artificial», come anticipato dalla direttrice accademica Carmen Pastor Villalba nella presentazione, si affronta invece un tema quanto mai attuale, cioè il rapporto tra linguaggio ed intelligenza artificiale. Esso viene declinato secondo diverse prospettive da vari studiosi, tra cui il direttore Luis García Montero, che in «Reflexiones precavidas sobre la inteligencia artificial» discute l’etica e la responsabilità intorno all’utilizzo delle nuove tecnologie, una preoccupazione tanto sentita dall’istituto da elaborare l’utile ed esemplare «Decálogo ético para una cultura digital panhispánica». I successivi saggi della sezione sono dedicati all’utilizzo dell’AI nell’educazione e nella didattica, allo stile linguistico delle macchine e alle loro abilità di traduzione, con un’attenzione rivolta sia ai pericoli sia alle opportunità.

Martina Mattiazzi

(Notiziario n. 111, gennaio 2023, pp. 9-10)

Rafael Ángel Herra, Il Genio maligno, Salerno / Milano, Oèdipus, 2019

Rafael Ángel Herra, Il Genio maligno, Salerno / Milano, Oèdipus, 2019, 168 pp.

Per i tipi di Oèdipus esce nella traduzione di Saul Forte il «romanzo-saggio-raccolta», come recita il risvolto di copertina, El ingenio maligno, del filosofo e letterato Rafael Ángel Herra, pubblicato per la prima volta in Costa Rica nel 2014. Introdotta e curata da Rosa Maria Grillo, l’edizione italiana è illustrata con forza suggestiva dall’artista, pure costaricana, Mónica Salazar Arce.

Come sottolinea Rosa Maria Grillo a chiusura del saggio introduttivo, «Alla ricerca del racconto perduto», già alla fine de El genio de la botella (1999) si trovavano in nuce temi e personaggi del libro che qui si presenta in traduzione: «il cane Perropinto racconta al Genio Aldebarán, rinchiuso nella bottiglia, la storia del cane Diogene e del suo Maestro» (p. 9).

L’incipit vede Aldebarán, conosciuto come «Genio maligno» per l’assurdità delle sue storie, che come di consueto inizia a scrivere per sconfiggere la solitudine: «Imparò a godere delle disgrazie altrui anche se immaginarie, per non soffrire per le proprie. Per la sua condizione, imprigionato senza rimedio, gli era proibito l’accesso al mondo che, quindi, non esisteva. Le finzioni furono un modo di inventarlo. Lo distraevano e attenuavano il dolore che gli procurava il castigo. Forse una mattina felice, uno dei personaggi di sua invenzione lo avrebbe aiutato a estrarre il tappo della bottiglia. Il mondo solo poteva essere quello che nasceva da quei racconti e il liberatore ne avrebbe fatto parte. Se non riusciva a scappare, almeno si sarebbe arricchito con le sue favole» (p. 13).

Se la prima pagina del quaderno delle finzioni resta bianca, dalla seconda prende corpo Diogene, il cane chiacchierone che ascolta e che si azzarda a mettere in discussione e a rielaborare le favole del genio. Il contrappunto che si genera dà vita, dal nulla, a parole, concetti, sentimenti, storie prima inesistenti. E Aldebarán, che ambisce «ad essere il narratore di tutte le storie, che sono una stessa storia» (p. 19), chiarisce al cane che «qualsiasi racconto è quello che è a seconda del modo di raccontarlo» (p. 18). Il libro sacro, il grande romanzo del mondo, gioco narrativo né vero né falso che si ripete e si rigenera all’infinito, prosegue fino a quando il genio creatore / padre crudele interrompe l’illusione dell’esistenza dei personaggi, i vaneggiamenti, i racconti assurdi, i silenzi, per restare nella propria prigione, in attesa che qualcosa accada vicino al fiume.

I modelli biblici, i miti classici, i personaggi della letteratura universale si intrecciano e danno vita ad un universo onirico, continuamente cangiante ma al tempo stesso sempre uguale, in un gioco di scatole cinesi senza fine: non solo il cane esiste come parte della storia per volontà di Aldebarán, ma anche quest’ultimo è creatura di un altro genio crudele che da un momento all’altro può gettarlo nell’oblio: «Aldebarán chiuse cosí la storia. Lo sfortunato ignora che solo esiste perché io lo nomino. Anche io finisco adesso di scrivere mentre attendo: forse passerà galleggiando il cadavere del mio nemico» (p. 166).

Patrizia Spinato B.

(Notiziario, novembre 2022, pp. 16-17)

Santiago Montobbio, «Ospedale degli Innocenti (1985-1987)», Cura e traduzione di Monica Liberatore, Novi Ligure, Joker, 2022

Santiago Montobbio, Ospedale degli Innocenti (1985-1987), Cura e traduzione di Monica Liberatore, Novi Ligure, Joker, 2022, 105 pp.

Trova finalmente una consona collocazione editoriale l’opera giovanile del poeta spagnolo Santiago Montobbio dal titolo Hospital de Inocentes (1985-1987), che Monica Liberatore ha nei giusti tempi scelto, curato e tradotto per il pubblico italiano.

La collana che ospita la raccolta è «Parole del mondo», affidata ad un comitato scientifico internazionale e che dal 2008 porge ai lettori del nostro paese una selezione di testi di pregio, soprattutto da ambiti linguistici poco considerati dall’editoria di massa. Troviamo così non solo opere della letteratura inglese, ma anche di quella lituana, lettone, estone, farsi, greca, romena, polacca, danese, finlandese, spagnola, neerlandese, catalana, selezionate e tradotte in italiano con un caso anche in ladino friulano: delle chicche, insomma, possibili solo in un contesto editoriale ristretto e meditato, affidato a una rosa di accademici e specialisti che si ergono a garanti, consapevoli, delle proprie scelte. E ricorda alcune prestigiose collane, come «Il maestrale» e «Le letterature del mondo», che le pionieristiche Edizioni Accademia lanciavano a Milano tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Ottanta del Novecento, a ridosso del secondo conflitto mondiale, per formare e coltivare un pubblico ancora acerbo. Qui si tratta invece di uscire dagli ambiti culturali privilegiati dai canali commerciali per proporre sfide coraggiose a lettori sempre piú consapevoli ed esigenti.

Il titolo della raccolta di Santiago Montobbio già annuncia uno stato di malessere dell’io poetico, delle cui declinazioni, derivate principalmente dall’innocenza e dalla tenerezza, tratta nei vari componimenti come alla ricerca di una cura, di un ricovero, di sollievo, sebbene dichiari di non riuscire a rinunciarvi: «Porque sabes que soy terco y mucho más / en lo que concierne a mis defectos» (p. 66). La scrittura stessa stritola l’anima del poeta e lo costringe a consegnare alla carta la sua essenza, reale o percepita come tale. L’eccesso di sensibilità conduce l’io poetico ad accumulare amarezze e dispiaceri, per cui gli riesce difficile resistere alla tentazione di suicidarsi. Ne scaturisce, a posteriori, un profilo freddo, grigio, mesto, antiquato, crepuscolare, e si fa strada una concezione infelice della vita, un pessimismo, una profonda solitudine nell’oscuro carcere che è l’esistenza e della cui fine la poesia è necessario annuncio. La morte è un precipizio che non spaventa l’io poetico, bensí lo attrae, nella continua finzione di essere vivo.

Il volume, che affianca al testo originale la traduzione italiana, raccoglie in quattro sezioni («Ospedale degli Innocenti», «I fallimenti dell’alba», «Silva», «Dramatis personae») i trentasei componimenti in verso libero. In chiusura, l’efficace nota critica della curatrice ne ripercorre il senso profondo affidandosi anche ad una citazione di Giuseppe Bellini, che molto apprezzò le prime raccolte di Montobbio. Liberatore segnala l’insicurezza, il nichilismo, ma anche la speranza finale che illumina la coscienza del poeta: «Con un cinismo sardonico […], questo libro assedia i recessi piú oscuri della svogliatezza creativa della vita; là dove si annida la tenera sordidezza dell’amore, la traccia agghiacciante della morte o la terribile lacerazione della solitudine e del silenzio» (pp. 98-99).

Patrizia Spinato B.

(Notiziario n. 110, novembre 2022, pp. 15-16)